A lungo possedimento dei conti Aldobrandeschi, il territorio di Piancastagnaio fu conteso per tutto il Medioevo dai monaci della vicina abbazia del San Salvatore e dai Visconti di Campiglia; più tardi fu oggetto di dispute tra Siena e Orvieto e infine tra Siena e gli eredi degli Aldobrandeschi, gli Orsini di Pitigliano. Divenuto possesso di Siena nel 1415, il castello fu annesso al capitanato di Radicofani, per divenire feudo granducale nel 1600 e, dopo le riforme leopoldine, capoluogo della comunità di Piancastagnaio.

Circondato da meravigliosi castagneti, il paese ha una forma circolare che un tempo era segnata da una possente cinta muraria, su cui svettava la bellissima rocca aldobrandesca, tuttora intatta e conservata con accurate opere di restauro, che controllava l’entrata principale alla città.

Il granduca Ferdinando I concesse il territorio in feudo al marchese Giovanni Battista Bourbon del Monte Santa Maria nel 1601, che fece costruire il magnifico palazzo barocco attualmente in ristrutturazione. Giovanni Battista era un soldato: dopo esser stato a lungo al servizio dell’imperatore Carlo V, aveva militato alle dipendenze della Repubblica di Venezia come capitano generale della fanteria (il che spiega il leone di San Marco svettante sull’entrata del suo palazzo). Il marchese aveva già investito parte dei suoi proventi di condottiero sull’Amiata, acquistando il castello di Potentino e la tenuta di Castelvecchio a Contignano. Intorno al suo maestoso palazzo pianese, da vero monarca assoluto, fece costruire un enorme parco con viali, statue, nicchie, fontane, giochi d’acqua e peschiere, alcune delle quali sono tuttora visitabili e costituiscono un bel luogo per la pesca alla trota.

Il paese di Piancastagnaio spicca come uno dei borghi più belli dell’Amiata, recentemente ristrutturato, accogliente e piacevole per trascorrervi le vacanze. La simpatia degli abitanti è una carta in più per i turisti, che qui possono trovare ancora molti personaggi tipici di un tempo che fu.
Bellissima la piazzetta centrale, Piazza dell’Orologio, dove si trovano l’antico palazzo comunale, il Palazzo del Podestà e la Loggia della Mercanzia, sulla quale venne innalzata nel 1533 la Torre dell’Orologio. Al centro della piazza si trovava la Colonna Infame di manzoniana memoria, simbolo del potere senese, adagiata sin dal 1803 sul lato opposto al Palazzo del Podestà. Bellissima si erge su un’alta scalinata che affaccia sulla piazza la chiesa di origini romaniche di Santa Maria Cuntaria che deriva il nome dal latino saxa cuntaria, sassi instabili. Ricca di opere interessanti, la chiesa vale la pena di una visita.
Su un lato della piazza principale si apre il ghetto ebraico: rimangono lungo l’attuale via Umberto soltanto i resti dell’antica sinagoga e di una scuola ebraica; ma la cosa più sorprendente è che il ghetto non aveva porte che si chiudessero a un orario determinato. La presenza ebraica in Piancastagnaio – come risulta da un recente libro di Angelo Biondi – è testimoniata sin dal XIV secolo, ma fu sotto il marchesato di Bourbon del Monte che le porte della cittadina si aprirono ai banchieri ebrei e una piccola comunità si formò, qui come in altri paesi dell’Amiata. Un percorso ebraico a Piancastagnaio conduce il visitatore ad ammirare anche quel che resta del cosiddetto Bagno degli Ebrei, una fontana sacra nel bosco che forse serviva per le abluzioni prima di entrare in sinagoga.

Affascinante anche la storia del Piatto delle Streghe, un enorme conca di peperino che fu probabilmente un ornamento dei giardini del marchese, ma che la leggenda vuole servisse alle streghe per servirci sopra macabri piatti, o semplicemente maccheroni, polli arrosto, castagne e marroni.
Anche la leggenda delle streghe pianesi è legata in parte alla presenza ebraica, perché la storia di Ferro che recupera il suo bambino rapito dalle streghe che se ne volevano nutrire, si conclude con la salvezza del piccolo al Bagno degli Ebrei e con il gesto di Ferro (un segno della croce) che scongiura l’assalto delle donne malvage. Tuttavia, per questa vicenda antisemita se ne presentano in Piancastagnaio altre di tutt’altro genere che testimoniano una felice convivenza in paese tra ebrei e gentili: il fatto stesso che non esistessero porte del ghetto è una testimonianza importante, anche se casi come quello dell’Ebreina (una piccola che avrebbe deciso di convertirsi al cattolicesimo per sfuggire all’influenza dei genitori, creando nel 1673 un vero casus belli che coinvolse tutta la popolazione), raccontato da Giacomo Barzellotti nel suo libro sul Monte Amiata e il suo profeta, sono indice dei possibili contrasti causati all’epoca da confessioni diverse.