Situata a circa 800 metri d’altezza alle pendici del Monte Amiata, Abbadia San Salvatore ne è stata a lungo il centro più importante, perché qui si trovava l’entrata alle miniere di mercurio che furono per gran parte del XX secolo la fonte economica principale dell’intero circondario. Il nucleo originario del paese, che nel Medioevo si chiamava Castel di Badia, fu l’abbazia del San Salvatore, uno dei centri religiosi più importanti dei secoli XII, XIII e XIV

La leggenda narra che l’abbazia fosse fatta costruire dal re longobardo Ratchis che, fermatosi nei boschi dell’Amiata per cacciare, ricevette l’apparizione del Salvatore dall’alto degli alberi. Il luogo della visione di Ratchis sarebbe il transetto destro dell’attuale, meravigliosa, cripta longobarda, costruita nell’VIII secolo. Composta da trentasei colonne di pietra trachitica dell’Amiata, la cripta sfoggia fusti e capitelli diversi l’uno dall’altro, assemblati dalle mani esperte di un architetto sconosciuto che ha saputo ricreare all’interno di un luogo sacro uno dei boschi di faggio di questa montagna.
I capitelli sorreggono i profili delle volte a crociera e dei sottarchi, mentre nella parte inferiore mostrano una variegata decorazione che attinge i suoi modelli in repertori di origine altomedievale, spesso proseguendoli anche lungo le colonne.

Numerosi i capitelli che rappresentano maschere umane e animali, tracce di una cultura formale assai raffinata che rielabora modelli e spunti forse anche più antichi.
La parte superiore dell’abbazia, più tarda, resta comunque uno dei gioielli del Romanico nella Toscana del sud e fu a lungo un centro di potere: da lì i monaci cistercensi potevano infatti controllare la via Francigena e per tutto il Medioevo ebbero gioco facile nel mantenere la leadership sulla zona e possessi nel Lazio, in Umbria e nelle diocesi di Chiusi e di Sovana. Di fatto, fu solo con i Lorena che il monastero dell’Amiata iniziò la sua decadenza e i tesori che conteneva – in particolar modo una nutritissima, si dice, biblioteca – andarono dispersi.

Fu così anche per la famosa Bibbia Amiatina – una straordinaria opera miniata di origine irlandese, custodita dagli abati per secoli e che oggi si trova alla Laurenziana di Firenze, anche se una bella copia anastatica fa parte del piccolo ma importante tesoro del museo dell’Abbazia. Consacrata nel 1035 dall’abate Winizo, l’Abbazia fu affidata ai cistercensi solo nel 1228. La facciata costituisce una versione, unica per la Toscana, di Westwerk, l’architettura sacra d’oltralpe. La pianta della chiesa è a forma di tau, con ampia navata con copertura in vista, preceduta da un atrio interno contenuto tra due torri. Il piano del presbiterio è notevolmente rialzato rispetto a quello della chiesa, perché nella parte sottostante si sviluppa la cripta.

L’abbazia conserva vari reperti importanti dell’età medievale. Il capolavoro più interessante è probabilmente il crocefisso ligneo di epoca duecentesca che spicca sul coro: si tratta forse dell’opera di uno dei maestri francesi che lavoravano contemporaneamente a Sant’Antimo e che incuriosisce per via di un’espressione trionfante – gli occhi spalancati – che sembra rappresentare piuttosto un “Christus Triumphans” che la Passione. Rarissima è anche la casula di San Marco, un tessuto pregiatissimo, probabilmente di epoca bizantina, ricamato con perle di fiume. Ma sono interessanti da vedere anche gli affreschi seicenteschi di Francesco Nasini, rappresentanti la leggenda di Re Ratchis, la visitazione di Maria e altre scene sacre, che – insieme agli affreschi di altre chiese badenghe (Remedi, Madonna del Castagno, Santa Croce, San Leonardo, Ermeta) costituiscono una parte dell’itinerario nasiniano dell’Amiata.
Per altro, è assai bella anche – per quanto rovinata – una crocefissione di chiaro gusto umbro (è stata attribuita anche al Perugino stesso) che si trova nella Madonna del Castagno. È consigliabile anche la visita alla piccola chiesa dei Remedi, con affreschi nasiniani settecenteschi di delizioso gusto rococò; mentre in questi giorni verrà inaugurato il ciclo pittorico del pittore di Abbadia Renato Guerrini, rappresentante la carità cristiana, nella chiesa di Santa Croce, per celebrarne il duecentocinquantesimo anniversario dalla rifondazione (la chiesa in realtà è duecentesca).

A fianco dell’Abbazia si sviluppò a partire dal Trecento un piccolo borgo, allargatosi nel corso dei secoli: nel centro storico sono ancora visibile splendide case gotiche (come quella detta del Podestà nel Corso Maggiore, con archi a sesto acuto e il loculo, la famosa porticina murata che si apriva solo per far uscire dalla casa la salma di uno dei familiari), oltre a modesti, ma interessanti, palazzi più tardi delle famiglie patrizie. Il Corso Maggiore era anche la via delle botteghe: lo testimoniano alcuni stemmi che costituivano le insegne del sarto (mastro Matteo, come è scritto sopra la scultura rudimentale di un paio di forbici), del fabbro o di uno spedaletto (la croce di Malta).

Sin dal Quattrocento è inoltre attestata, dall’esistenza di un maglio originale ancora in funzione, la presenza di un fabbro, i cui discendenti oggi sono tra i pochissimi a conservare l’arte della manifattura di spade, oltreché di pennati, falci, ferri da cavallo e attrezzi per la campagna.
Dopo la visita all’Abbazia e al centro storico, è irrinunciabile un tour del museo minerario, sede di un importante archivio, oltreché di testimonianze relative alla miniera di mercurio. Inaugurata da ingegneri tedeschi (forse i discendenti dei primi monaci? Abbadia è in effetti una piccola comunità mitteleuropea nel cuore della Toscana, visto che Amiata fu la Heimat dei longobardi) alla fine dell’Ottocento, la miniera chiuse, per la crisi del mercurio, nel 1976 e fu trasformata nell’azienda florovivaista Floramiata, che tutt’ora costituisce, insieme alle pelletterie, alle aziende agricole e al turismo, una delle voci più importanti dell’economia amiatina.

Tutt’intorno alla miniera – e sparsi anche nel paese – sono da ammirare gli edifici di gusto teutonico costruiti dagli architetti dell’ingegnere fondatore della miniera Friedrich Hamann in epoca Liberty e Déco.