Dacché sull’Amiata sono stati introdotti cinghiali e caprioli, la dieta si è arricchita moltissimo; tradizionalmente, a farla da padrone era la carne di maiale, con tutto quello che se ne poteva trarre, compreso salumi rozzi ma saporitissimi quali il mazzafegato (il cui ingrediente principale è il fegato, mescolato con la muscolatura striata, la lingua, la milza, il cuore e le reni, macinati, impastati con sale, pepe, peperoncino e aglio e quindi insaccati in budelli naturali e lasciati stagionare), la ventresca, la soppressata, il ventricino (vedi), il buristo e le salsicce. Una curiosità: il buristo appena citato sembrerebbe, insieme al biscotto salato – quella specie di bretzl senza cumino ma con l’anice – e al salame dolce, un lascito nella dieta amiatina di qualche antico cuoco tedesco, magari il cuciniere dei monaci dell’Abbazia: non è infatti improbabile che l’etimologia derivi dal germanico Blut Wurst, salsiccia di sangue. Un’altra conferma del legame che unisce l’Heimat alla Germania. A questi salumi si aggiungevano spesso – non come dessert, ma per secondo – i formaggi della zona, corposi e piccanti. Le verdure non erano diffusissime nella dieta tradizionale e le si preferivano semmai ripiene di carne macinata (vedi i contorni). Alle tavole di Pasqua, naturalmente, non mancava mai l’agnello, preferibilmente arrosto o fritto, ma anche fatto in umido. Un must sono da sempre le lumache, dette lumacci, servite preferibilmente col guscio, ma anche senza. Come si noterà nelle liste degli ingredienti, le quantità non sono matematiche: una brava massaia sa da sola quanto mangiano i suoi commensali e si regola a occhio. Così dicono le donne.