Alla fine di luglio venne al Pontefice il desiderio di visitare la sorgente del fiume Vivo nell’eremo sul lato settentrionale del Monte. In effetti, gli insediamenti sull’Amiata erano tutti avvenuti a un’altezza tra i cinquecento e i novecento metri, dove si potevano trovare le sorgenti d’acqua. Ecco ancora il racconto di Pio:
Sul ciglio del giogo dove sono prati spogli di alberi fu trovata l’erba che chiamano Carolina, perché sarebbe stata miracolosamente mostrata a Carlo Magno come farmaco efficace contro la peste […]. È un’erba con foglie spinose che aderenti a terra proteggono un fiore simile a quello del cardo, ma di un colore differente; ha una radice dolce, che per una divina disposizione, a perpetuare il ricordo del miracolo, continua a mostrare il segno della ferita…
Proseguendo per il sentiero, il Pontefice giunse poco prima di mezzogiorno a una fonte che sgorga da una grotta con acque abbondanti e gelide. Vicino c’è una cappella costruita con pietre squadrate, ancora in piedi sebbene il tetto sia pericolante; le celle che la circondavano sono cadute in rovina. Castagni e faggi mescolati insieme formano un bosco ombroso…
Finito il pranzo si discese per circa sedici stadi, mentre il fiume che nasce da quella fonte, alla loro destra, scorreva giù con grande impeto e fragore per massi scoscesi e aspri dislivelli. In fondo alla valle si trovò una pianura non grande e un campo che un tempo sentì l’aratro e dove si coltivarono alberi da frutto. Le macerie mostrano che qui ci fu un importante cenobio; vi abitarono dei monaci Camaldolesi, ora è dimora di gufi. C’è ancora la chiesa di una certa bellezza. Vicino scorre il fiume chiamato Vivremo, perché defluendo dall’eremo superiore all’inferiore con una portata d’acqua perenne, mai non muore, anzi ridà vita all’Orcia quando questa è in magra; alimenta anche dei mulini, che, quando tutti gli altri sono inutilizzabili, durante i calori estivi, forniscono la farina a Pienza e ai borghi vicini.
Pio ci confida anche un suo sogno:
Il Pontefice, attraversato il fiume, si diresse ad Abbadia per un’altra strada, inoltrandosi in una selva di querce altissime, cresciute diritte e slanciate al cielo come abeti. Intanto osservò attentamente la configurazione del terreno per vedere se fosse possibile attuare un suo desiderio, cioè deviare il corso del fiume e rivolgerlo verso l’Orcia sopra i Bagni di Vignoni, poi (cosa su cui aveva spesso meditato) sbarrare con una diga le acque del fiume in modo che si formasse un lago, così da riempire la valle inferiore. Si sarebbe così rifornita di pesce e protetta dalle incursioni dei nemici la regione, opera costosa e degna di un Pontefice che fosse libero da preoccupazioni di guerra e in pace.
Enea Silvio Piccolomini aveva dunque intravisto le enormi possibilità che l’acqua dell’Amiata riservava per tutto il territorio.
Stagliata contro uno di quei profili dell’Amiata che piacevano tanto al Sassetta, rigogliosa di piante antiche e mormorante di acque la cui memoria si perde nei secoli, Vivo d’Orcia è la splendida frazione di Castiglion d’Orcia incastonata in una valle fuori del tempo, ora come nel Quattrocento. I primi insediamenti in questa zona risalgono esattamente a mille anni fa (nel 2002 si è celebrato il millenario della fondazione del paese), anche se gli scavi archeologici ancora in corso hanno riportato alla luce reperti del mesolitico. La fondazione del paese si deve a San Romualdo, che descrisse il luogo come “selvaggio e magnifico, una piccola altura protesa al limite fra il regno del faggio e quello del castagno, pochi metri pianeggianti presso una stretta sinuosa, improvvisa, dalla quale scaturivano con fragore di tuono due grosse e travolgenti polle d’acqua gelate”.
Vivo d’Orcia fu sede di un monastero camaldolese: la presenza di uno dei tre boschi di abete bianco dell’Amiata, frequenti ovunque si trovassero i monaci di quest’ordine, conferma che l’attuale Eremo, castello dei conti Cervini costruito da Sangallo il Giovane – con l’aiuto forse del Vignola – nel XVI secolo, era originariamente un monastero. La stessa chiesetta di San Marcello (così chiamata in onore di Marcello Cervini, che fu papa per ventidue giorni), a fianco della contea che era il borgo in cui vivevano i contadini e gli artigiani dei conti, conserva originarie tracce romaniche ed è la stessa di cui Pio II parla nel brano sopra riportato. Sotto il castello scorre il fiume Vivo, le cui sorgenti sgorgano in località Ermicciolo. Lungo il torrente, a partire dal Medioevo, furono costruiti mulini, cartiere, ferriere e, negli anni ’20 del secolo scorso, una prima centrale elettrica che sfruttava l’energia idrica. Tracce di questi antichi edifici sono tuttora visibili, coperte dai rampicanti, in uno dei paesaggi più belli ed evocativi della zona.
In località Ermicciolo è possibile visitare, in occasione della Festa delle Acque che si tiene ogni 22 marzo, la sorgente del Vivo, che erompe dalle rocce. La zona è affascinante anche per altri motivi: è infatti il luogo isolato e ricco di pace in cui sorgono le cappelle funerarie dei conti Cervini (la cappellina di cui parla sopra il Pontefice) e, in mezzo a una magnifica radura di castagni – spesso pullulante di funghi – due antichi seccatoi (le rovine del brano dei Commentarii). Recenti studi hanno portato alla conclusione che il primo dei due fosse in origine una cella dei monaci camaldolesi: le vicine acque, i boschi ricchi di funghi e di castagne, l’abbondanza di cacciagione etc. dovettero convincere i monaci, intorno all’anno 1 000 della nostra era, a insediarsi qui. Oggi, come ai tempi di Piccolomini, la passeggiata che va dall’Ermicciolo all’Eremo, lungo il percorso del fiume, è una delle più gradevoli in assoluto dell’Amiata: ci si può fermare a osservare le cascatelle e la diga in mezzo ai boschi, oltre alle grotte che servirono da rifugio ai partigiani durante l’ultima guerra e ai siti archeologici cui si faceva riferimento; né è impossibile avvistare qui qualche raro esemplare di picchio verde, il cui verso a volte echeggia tra le piante secolari. La Valle del Vivo è uno dei pochi luoghi al mondo in cui ci si può convincere di vivere ancora nel Medioevo.
In epoca medievale l’acqua del fiume Vivo cominciò a essere utilizzata per macinare, per battere il ferro e per segare il legno e produrre carta, oltre che per irrigare orti, abbeverare il bestiame, macerare canapa, lino etc. Il fiume era anche ricco di pesce, e tuttora sono presenti esemplari di trota fario, dalle carni molto pregiate. Intorno al torrente crescevano poi canneti, salici, canapa, lino, tutte materie utilizzabili per costruire utensili come panieri e ceste, oppure per tessere vestiari. Tra il 1100 e il 1200 i Camaldolesi sfruttarono il torrente per muovere mulino, opificio, segheria, uliviera e gualchiera. Alla fine del ‘600, i Cervini costruirono una ferriera, una ramiera, una segheria idraulica e una cartiera, come riportato nei documenti di Bruno Santi, un viaggiatore del ‘700, autore dell’importante testo Viaggio al Montamiata, pubblicato a Pisa nel 1795. Nel 1920 i conti Cervini fecero costruire anche la centrale idroelettrica, collocata nella zona dello Scodellino, che fu ceduta prima alla società Valdarno e poi allo Stato. Fino a quando, nel 1895, il comune di Siena utilizzò le acque del Vivo per il suo acquedotto.
Le sorgenti sono del tipo di contatto tra vulcaniti e substrato sedimentario e di emergenza. Nel primo caso si hanno punti di acqua che delimitano con continuità il cono vulcanico, nell’altro si hanno sorgenti che scaturiscono direttamente all’interno del corpo vulcanico. Sulla base dell’ubicazione delle varie manifestazioni sorgentizie si presume un assetto morfologico del substrato sedimentario. Il flusso principale risulta essere quello di Poggio Ermicciolo, caratterizzato da una serie di manifestazioni sorgentizie (Ermicciolo, Seragio, Sambuchella, Sambuchellina, Acquareggia, Fonte Mascioni) che scaturiscono direttamente dal corpo dell’affioramento e dove spicca la sorgente Ermicciolo, seconda per importanza in tutta la struttura idrogeologica amiatina. A monte delle manifestazioni sorgentizie, in località Pian dei Renai, è presente un omonimo pozzo.
L’acqua della Sorgente dell’Ermicciolo scaturisce da una base di un banco di roccia trachitica e si caratterizza per requisiti di ottima potabilità. Ciò si deve ai valori costanti delle caratteristiche fisiche, all’ottimità dei caratteri organoelettrici e all’assenza di qualsiasi anomalia chimico-biologica derivata da contaminazioni o fonti di inquinamento. I parametri raccolti nei continui controlli rivelano uno stato di costanza delle caratteristiche, perpetuatesi inalterate nei secoli. L’acqua si presenta molto “leggera”, a causa del suo grado di mineralizzazione, della sua purezza e del basso valore della sua durezza, che oscilla tra 2,5 e i 3 gradi francesi ed è ottima da degustare insieme a cioccolato amaro o a verdure condite con olio.