itineraridelleacqua…tempus erit, quo vos speculum ridisse pigebit
et veniet rugis altera causa dolor.
Sufficit et longum probitas perdurat in aevum,
Perque suos annos hinc bene pendet amor.
Ovidio, Medicamina faciei feminae, 47-50.

Nei Racconti del cuscino, la scrittrice giapponese del X secolo Sei Shonagon ricorda un’usanza per la cura della pelle: il nono giorno del nono mese si avvolgevano i crisantemi dei campi in sottili batuffoli di cotone, che si toglievano con la cura e la pazienza orientali il mattino dopo per lavarsi corpo e viso con la rugiada di cui erano intrisi. Con un rito pressoché magico, questa operazione serviva per mantenere la freschezza della pelle per tutto l’anno, per questo era di buon auspicio se nel periodo in questione pioveva abbondantemente.
Prima di Sei Shonagon, in occidente, un altro poeta aveva d’altronde tramandato ricette di bellezza di grande efficacia: Ovidio si era occupato della bellezza femminile (e non solo) in un trattatello sulla cosmesi per il volto, in cui aveva consigliato in distici elegiaci, ricette contro le rughe e per il trucco a base di prodotti che si potrebbero definire di alta erboristeria: orzo, veccia, farina, narciso, frumento di Toscana (cum semine Tusco, v. 65), miele (locale o, ancor meglio, dell’Attica), lupini, fave, biacca, nitro, iris d’Illiria, alcioneo (un unguento derivato dal nido degli uccelli alcionei), incenso, resina, mirra, finocchio, rosa secca, sale di ammoniaca (forse proveniente dai deserti della Libia, o forse un tipo di gesso), mucillaggine e papaveri. Nella Roma imperiale questi ingredienti venivano tritati e mescolati nelle giuste quantità per ottenere prodotti di bellezza e di make-up raffinatissimo, che rendevano i volti delle donne bianchi come quelli delle geishe giapponesi, e le loro labbra rosse del colore dei petali dei fiori. E già Ovidio notava che la bellezza e la cosmesi non era limitata alle feminae, giacché sit vobis cura placendi,/cum comptos habeant specula vestra viros:/femminea vestri poliuntur lege mariti/et vix ad cultus nupta quod addat habet, che sarebbe a dire che è un bene che le donne si diano alla cura di sé, in un mondo in cui anche l’uomo è raffinato e dedito al lusso.
La terza tappa di questo percorso del lusso e della raffinatezza, dopo il Giappone imperiale e la Roma augustea non può essere che l’Amiata di oggi e del passato, terra di benessere, di pace e contemplazione, ma anche di ricreazione del corpo e di salute. Perché sull’Amiata è successo quello che capitò nell’antica Roma. Ecco che Ovidio ci viene ancora in soccorso, quando dice (vv. 11-16) che ai tempi del mitico re sabino Tazio le donne avevano più cura dei campi che non di loro stesse e la matrona rubicunda tesseva ruvide tele, rinchiudeva gli agnelli che la figlia pascolava e alimentava il fuoco con la legna tagliata. Era l’età dell’oro, quando le donne erano di una stoffa diversa da quelle di oggi, – prosegue il poeta – che sono capricciose, vogliono vesti intessute d’oro, capelli profumati e complesse acconciature, mani impreziosite da gemme e gioielli fatti con pietre provenienti dall’oriente.
E così, anche le nostre donne – abituate a secoli di duro lavoro, non meno delle Sabine -, a filare e tessere ruvide tele di iuta, di lino e di canapa (da cui venivano fuori quelle lenzuola dure e grossolane), ma anche a ricamare con pazienza e silenzio federe e tovaglie, oggi preferiscono dedicarsi a cure meno gravose e abbandonarsi al caldo abbraccio delle acque del vulcano, insieme ai loro compagni.
La vanità non è mai stato un tratto caratteristico di queste donne, che anzi dedicavano la loro vita al lavoro, partorivano nei campi e nei boschi, e poi tornavano di nuovo a prendersi cura dei campi e della famiglia. Certo è che il passaggio dal duro lavoro al benessere è segnato dalla generosità di un vulcano che, con il suo calore, riscalda le acque che fa sgorgare e consente di prendersi cura di sé. Le sue acque, scorrendo, lasciano tracce bianche e arricchiscono anche la terra su cui passano, creando fanghi assolutamente miracolosi per la pelle e per il corpo. Le sue pietre calde, poggiate sulla schiena e le spalle, creano relax e benessere. A tutto questo si devono aggiungere le erbe spontanee dell’Amiata – e la ricetta è completa.