Che l’Amiata fosse una montagna sacra non era sfuggito a chi di santità si interessava. Nelle sue peregrinazioni attraverso l’Europa di allora, Caterina Benincasa si fermò nella Rocca a Tentennano e qui ricevette, secondo il racconto del suo agiografo Raimondo da Capua, il dono della scrittura. Felice di tanto carisma, pensò bene di darsi a un po’ di relax, e dalla rocca scese verso Bagno Vignoni per un bagno ristoratore. Di lì, dopo di lei, sarebbero passati i più grandi personaggi: Lorenzo dei Medici non per ultimo.
Certo, uno dei più grandi vip del Rinascimento fu il creatore di Pienza, Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II (1405-1464). Fu sull’Amiata nel 1462 e ne lasciò una grandiosa descrizione nella sua opera principale, i Commentarii (edizione Cantagalli 1997, Libro IX, pp. 483 sgg.), parlando di sé in terza persona, come Giulio Cesare o, più tardi, Giambattista Vico:
Il Monte Amiata si trova nel territorio senese, non inferiore per altezza ai gioghi appenninici, si dice che in tutta Italia sia superato solo dalle Alpi pistoiesi e da altre due montagne
È rivestito di boschi fino alla vetta più alta. Questa, spesso avvolta dalle nubi, è ricoperta da faggi, quindi subentra il castagno, poi la quercia o il sughero.
Nei pendii più in basso c’è la vite e altri alberi coltivati dall’ingegno umano, campi lavorati e prati.
In una valle appartata ci sono altissimi abeti che forniscono legname pregiato e idoneo alle costruzioni edilizie sia senesi sia romane. Pio vi comprò le travi per il suo Palazzo di Pienza.
Fra la zona degli abeti e dei castagneti (mai altrove) si osserva una parte spoglia di alberi, tuttavia erbosa e utile per il pascolo delle pecore. A occidente scende fino alla costa marina di Siena, a mezzogiorno sovrasta il borgo di Santa Fiora […]; a settentrione guarda Pienza e molti castelli senesi, la stessa città di Siena e il fiume Orcia; a oriente è volto verso l’alta rocca di Radicofani e il fiume Paglia, che unitosi con la Chiana si getta nel Tevere…
Se le dolci ombre e le fonti argentee, le erbe verdi e i prati ridenti allietano e ispirano i poeti, qui, più che in qualsiasi altro luogo si fermeranno in estate; noi pensiamo che Cirra e Nisa pur essendo tanto esaltate dai miti antichi non possono reggere il confronto con queste balze, e neppure daremmo la nostra preferenza alla Penea Tempe. Non vi sono rettili o altre fiere nocive, non nugoli di mosche moleste, non ti punge la faccia il tafano o l’assillo, le cimici non spargono sul tuo letto il loro ripugnante odore, non ronzano al tuo orecchio le zanzare; una gran pace è diffusa per tutto il bosco.
I rovi e gli spini non ti graffiano i piedi e fra un albero e l’altro c’è tanto spazio da permettere ai rami in alto di intrecciarsi e di ombreggiare il suolo con le loro fronde. Il suolo è tutto rivestito da erbe e dalle fragole selvatiche, fra le quali limpidi ruscelletti cantano, scorrendo, il loro perpetuo sussurro…
Pio rimase tanto incantato da questi luoghi che vi trascorse tutta l’estate del 1462, risiedendo all’Abbazia del San Salvatore, mentre i suoi collaboratori si sparsero fra Abbadia e Piancastagnaio. Teneva udienze e concistori tra gli alberi, vicino ai ruscelli e alle sorgenti e alla sera conversava dolcemente con i frati dell’Abbazia. La sua è la testimonianza più importante relativa alle acque e al benessere dell’Amiata. Già nel XV secolo, questo papa mecenate, grande poeta e scrittore, autore della splendida Historia de duobus amantibus, aveva colto la cifra del territorio: la qualità di vita, la pace che nasce dai boschi e dalle sorgenti, il benessere e il lusso offerti da un ambiente silenzioso e incontaminato.