L’Amiata è rimasta per millenni un contesto geografico a sé stante, con propri e singolari caratteri ambientali (geologia), storici e paesaggistici. Tali peculiarità si sono riflesse nei caratteri culturali delle comunità che, non a caso, definiscono la montagna come l’”isola”, a sottolineare le differenze con i contigui paesaggi toscani e laziali. Nel periodo contemporaneo avvennero le seguenti variazioni amministrative: Abbadia San Salvatore cedette le frazioni di Campiglia d’Orcia, Bagni San Filippo e Caselle del Vivo a Castiglion d’Orcia (1867); divennero comuni autonomi Castell’Azzara, con distacco da Santa Fiora (1915), e Seggiano, con separazione da Castel del Piano (1920); Castel del Piano incorporò Montenero, con distacco da Cinigiano (1956); Semproniano fu autonomo, con distacco da Roccalbegna, incorporando Catabbio (da Manciano) e Cellena (da Santa Fiora) (1963).

Negli anni ’30, il geografo Emanuele Repetti definiva l’Amiata “un pezzo di Svizzera al centro della bella penisola”, decantandone salubrità, densità demografica e condizioni economiche. E il geografo Giotto Dainelli, con riferimento al censimento del 1901, notava che la fascia compresa fra 600 e 800 m esprimeva un popolamento di 83,5 ab./kmq, molto superiore alla provincia di Grosseto (poco oltre 32) e di Siena (poco oltre 61). Leopoldo II, nel 1827 descrisse la foresta, gli abbondanti fiumi ed i paesi popolosi, ma rozzi, difficili per accesso ed isolati: nacque allora l’impegno di costruire strade rotabili per Valdichiana, Senese e Maremma. Ancora per tutto l’Ottocento la società amiatina si basò sull’agricoltura della piccola proprietà, con il castagno principale fonte di alimentazione.

Con il potenziamento dell’industria estrattiva si consolidò la trama degli aggregati minori, anche di nuova edificazione: Bagnolo, Marroneto, Selvena. Lo sviluppo agrario originò Poderi di Montemerano, Vallerona-Santa Caterina, Petricci e Poggio Capanne.

L’età dell’industria (giacimenti di mercurio) inizia a metà del XIX secolo con capitali esterni. Tra 1846 e 1849, si attiva la miniera del Siele con lo Stabilimento Modigliani, esaurito (con apertura delle Solforate) intorno al 1890; tra 1871 e 1879 il tedesco Filippo Schwarzenberg avviò la miniera del Cornacchino; nel 1895, fu la volta di Cortevecchia. La svolta avvenne nel 1897, quando da industriali tedeschi fu fondata la Società delle Miniere del Monte Amiata che due anni dopo aprì la miniera di Abbadia, destinata a diventare la più produttiva; nel 1905-09 aprì la miniera del Morone in sostituzione di quella esaurita di Cornacchino, a seguire quelle di Argus (1915) e Abetina (1928).

L’industria estrattiva non rappresentava un settore separato rispetto al mondo agricolo: quasi tutti i minatori coltivavano orti fruttati, vigne e oliveti e lavoravano i boschi per alimentare estrazione e lavorazione del cinabro, che richiedevano grandi quantità di legname da costruzione e da ardere. La popolazione crebbe in modo rilevante nella seconda metà del XVIII, per tutto il XIX e fino al primo decennio del XX secolo, grazie all’incremento naturale che compensava il saldo negativo del movimento migratorio.

Il periodo di massimo incremento è tra 1833 e 1901 quando la popolazione aumentò di oltre il 70%. Dalla Grande Guerra in poi la crescita rallentò vistosamente e si bloccò (49.034 nel 1921 e 51.260 nel 1931), anche per la crisi mineraria esplosa nel 1931-32. La saturazione dell’economia agro-silvo-pastorale e la crisi mineraria nel Ventennio spiegano i tentativi di diversificazione produttiva attuati per favorire il turismo montano. Furono costruite strade rotabili che da Seggiano, Castel del Piano, Arcidosso, Bagnolo-Santa Fiora e Abbadia salgono alla vetta della Montagna, e i principali centri abitati si dotarono di strutture di ristoro e ricezione che, d’estate, cominciarono ad attrarre famiglie di villeggianti da Siena e Grosseto. Ma occorrerà attendere gli anni del miracolo economico perché si assista ad un processo vistoso di realizzazione di edilizia turistica (per lo più seconde case) ai margini dei vecchi centri. Nell’ultimo dopoguerra si manifesta la crisi demografica: la regione diventa area di forte esodo. L’industria mineraria produsse la diversificazione fra i Comuni coinvolti (Abbadia e Castell’Azzara, con Santa Fiora e Piancastagnaio) e quelli rimasti agricoli (Castel del Piano, Seggiano, Arcidosso, Roccalbegna, Semproniano): con l’andamento demografico (sviluppo dei primi rispetto allo spopolamento degli altri); le condizioni economiche (migliori nei primi); le trasformazioni sociali sottese all’industrializzazione (nuovo proletariato operaio). Il rinnovamento edilizio investì i paesi minerari già a fine XIX secolo: vi sorsero abitazioni, attività commerciali, artigianali, ricreative e due villaggi per impiegati e operai. Riguardo alle conseguenze ambientali negative dell’industria estrattiva, all’inizio del XX secolo il geografo Dainelli documentava la quasi generale ceduazione del bosco di faggio, per legna da ardere e carbone soprattutto per l’industria mineraria, mentre si continuava a mantenere e a costituire il castagneto.

Negli anni ’50, l’agricoltura dava occupazione ad oltre la metà della popolazione attiva, con predominanza della piccola proprietà coltivatrice. In basso (e nell’area meridionale anche sopra i castagni) si estendevano querceti e cerrete; i castagneti da frutto ricoprivano i fianchi del rilievo centrale (tranne a Sud), soprattutto tra 700-1100 m; le faggete (della Società Mineraria, della Macchia Faggeta o dei Comuni) si estendevano quasi sopra i castagneti, governate ad alto fusto (con fruizione ad uso di pascolo) o a ceduo. Sui terreni vulcanici, tra castagneti e faggete, subentravano boschi di conifere (pino nero e abete bianco) messi a dimora dal Corpo Forestale dello Stato su terreni diboscati o pascoli abbandonati, con le opere di sistemazione idraulico-forestale: specialmente dai primi anni ’50, con i cosiddetti “piani Fanfani”, che arrivarono a impiegare 1300 operai. Gli anni del miracolo economico scandirono la crisi e disgregazione dell’industria mineraria, del sistema mezzadrile (abbandono dei poderi) e del sistema agro-silvo-pastorale (abbandono di molte imprese della piccola proprietà contadina): processi che comportarono lo spostamento di residenza nei capoluoghi comunali, specialmente Abbadia, Castel del Piano e Arcidosso, meglio dotati di servizi, oppure fuori, come nelle zone di Riforma maremmane. Le istituzioni locali, grazie a finanziamenti statali, hanno cercato inutilmente di superare la crisi attraverso il varo di prospettive di sviluppo e riconversione economica incentrate su artigianato e piccola industria, contemplate nel Piano di Sviluppo Territoriale dei primi anni ‘70. Neppure l’innovazione degli anni ’60 dello sfruttamento delle energie rinnovabili geotermiche (centrali di Bagnore e Piancastagnaio), ha prodotto sensibili vantaggi in termini occupazionali e di attivazione di altre iniziative produttive, causando altresì fenomeni di impatto ambientale (inquinamento da acido solfidrico e instabilità dei suoli).

Le abbondanti acque della montagna danno vita ad acquedotti (tra cui il grande del Fiora) che dissetano parte della Toscana meridionale e del Viterbese, ma senza produrre occupazione.

L’agricoltura – per quanto ridimensionata – continua a mantenere un suo ruolo economico e di presidio ambientale, specialmente nei settori collinari, e la tradizionale marginalità del settore primario si sta faticosamente riconvertendo alla qualità produttiva e ad un legame più stretto con il territorio, mediante la scelta di prodotti di qualità (vino, olio, castagne, carne di allevamento e selvaggina, latticini, ecc.) e di prodotti biologici, e la multifunzionalità delle aziende (agriturismo, tutela e valorizzazione del paesaggio, del bosco e dei suoi frutti), anche in collegamento con le altre attività economiche come l’artigianato, servizi e turismo, e con la costituzione di alcune aree naturali protette: come il Parco Faunistico di Monte Labbro (Arcidosso) nel 1981; le riserve Pigelleto, Monte Labbro, Monte Penna e Bosco della Santissima Trinità (nelle aree montane), Pescinello e Bosco di Rocconi (nelle aree collinari di Roccalbegna e Semproniano), istituite negli anni ‘90, e il Parco Minerario, attuato nel 2000-2001 nel territorio di Abbadia.

(rielaborazione della fonte “piano paesaggistico Regione Toscana Ambito 19)

Minatori di Abbadia San Salvatore a fine turno di lavoro, la cosiddetta “sciolta”.

Cinabro, solfuro di mercurio (HgS).

Abbadia San Salvatore, foto d’epoca del Palazzo Comunale in Viale Roma.

Vetta Amiata (Abbadia San Salvatore) foto d’epoca, raduno d’auto.

Acquedotto del Fiora.